Il Ruolo delle Emozioni nei Contenuti Virali, tra Scienza e Mistero

IlRuoloDelleEmozioniNeiContenutiViraliI contenuti virali hanno uno straordinario potere nel mondo dei social media.
Articoli o immagini praticamente a costo zero riescono ad avere una visibilità enorme raggiungendo milioni di persone.

Chiunque si occupi di marketing nel mondo oramai li considera il santo Graal, e molti studiosi cercano di capire quali sono le caratteristiche che rendono virali i contenuti e perché alcuni diventano più popolari di altri.

 

Gli studi

Nell’articolo “cosa rende virali i contenuti online” pubblicato sul Journal of Marketing Research, Berger e Milkman hanno studiato il legame da un punto di vista emozionale tra utenti e contenuti e hanno scoperto che la popolarità di un contenuto è fortemente influenzata dal livello di eccitazione emotiva che riesce a generare.

Più alto è il livello della spinta emotiva generata, sia essa positiva o negativa, maggiore è la possibilità che il contenuto divenga virale.

Berger e Milkman hanno riscontrato che le emozioni positive come la gioia o il desideriosessuale sono quelle che riescono ad avere un effetto migliore rispetto a quelle negative come rabbia o ansia.

Uno studio condotto da Fractl invece suggerisce che le emozioni positive non garantiscono un ottimo risultato o almeno non sono il solo ingrediente determinante.

Secondo Fractl la combinazione di emozioni positive e negative nello stesso contenuto rende più efficace il messaggio che il solo uso dell’una o dell’altra.

Lo stupore, la sorpresa, sia positive che negative, sono inoltre risultate al secondo posto in classifica per i contenuti virali.
L’efficacia di questo tipo di emozione sembra tuttavia variare in base all’età, ad esempio i Millennials cioè i ragazzi con età compresa tra i 18 e i 24 anni avvertono meno questo tipo di emozione.

Le ricerche di Fractl hanno evidenziato che le emozioni positive, in particolare gioia, interesse, fiducia, possono essere utili per ottenere un risultato immediato, ma l’effettolongtail è altrettanto rilevante quanto un picco di traffico istantaneo.
E per avere un effetto duraturo nel corso del tempo è importante la qualità del materiale che si offre al pubblico.

Toccare le giuste corde

Sollecitare una risposta emotiva è chiaramente la chiave per generare contenuti virali, ma non è sempre una cosa facile da realizzare.
Ci sono emozioni come la rabbia che sono più semplici da provocare, basta una foto o un articolo che va contro opinioni ormai consolidate e il gioco è fatto.

Per quanto funzionante non si tratta certo del metodo migliore e ovviamente ce ne sono altri.

Mark Hughes, nel suo libro Buzz Marketing, descrive l’utilizzo di sei tipologie di contenuti utili per ottenere l’interesse del pubblico grazie ad una risposta emotiva: tabù, originale, scandaloso, divertente, interessante, e misterioso.
I Contenuti tabù sono in genere etichettati come inaccettabili, impropri, profani o proibiti. Toccare questo tipo di corda è particolarmente efficace per innescare emozioni negative e un sentimento di sorpresa nell’utente.
A volte questo tipo di contenuto può provocare anche emozioni positive e ammirazione per l’implicito disprezzo delle regole e convenzioni sociali.
Altro fattore chiave per aumentare le possibilità che un contenuto resti virale è l’utilità pratica.

La creazione di materiale che ha un’evidente applicazione pratica per l’utente aumenta le probabilità che le persone prestino attenzione al messaggio e siano più invogliate a condividere il contenuto con altri utenti.

L’aspetto

Dunque un contenuto interessante che susciti le giuste emozioni è il primo fattore chiave per generare contenuti virali, ma non è l’unico.

Altri aspetti apparentemente secondari non vanno trascurati se non si vuole che i propri messaggi restino inefficaci.

Ad esempio non bisogna sottovalutare l’aspetto complessivo del contenuto pubblicato.

Il giusto posizionamento all’interno della pagina, la leggibilità del testo, il modo nel quale viene presentato sono elementi che hanno un’importanza enorme visto che gli utenti leggono realmente solo il 20% di una pagina web e di quella percentuale quello che rimane impresso è veramente poco.
Questo significa che i contenuti devono essere di facile scrematura e i messaggi che hanno il compito di suscitare interesse ben in evidenza, siano essi testuali o visivi.
Una volta conquistata l’attenzione dell’utente il contenuto deve anche fornire un invito a diffonderlo via internet, quella che in gergo viene definita la chiamata all’azione ( Call To Action ) che avviene attraverso pulsanti di condivisione social media.
Un recente studio di BrightEdge infatti dimostra che i contenuti con i tasti di condivisione hanno una probabilità sette volte maggiore di essere diffusi dagli utenti.

La Pazienza

Non c’è una formula magica che garantisca la diffusione di un contenuto in maniera virale, eNeetzan Zimmerman, considerato uno dei re dei contenuti virali lo sa fin troppo bene.

Durante il suo lavoro per Gawker, Zimmerman ha scritto più di 10 articoli al giorno, la maggior parte dei quali non è subito divenuto virale, cosa che però non ha impedito ai sui articoli di avere successo raggiungendo oltre 30 milioni di visite al mese.

In conclusione

Abbiamo visto quindi quanto l’emozione sia da considerarsi una componente chiave unita a elementi come età e sesso, ma anche che altri aspetti come la qualità e la forma in cui i nostri contenuti vengono presentati siano ingredienti determinanti per la viralità di un contenuto.

La popolarità degli articoli di Zimmerman inoltre ci dice che dobbiamo avere pazienza, il traffico immediato non è l’unico modo in cui un contenuto può divenire celebre.

Per saperne di più:

SEO: 7 Miti da sfatare

Seo 7 miti da sfatareIl SEO, l’insieme delle attività finalizzate ad aumentare la visibilità di un sito web, è da sempre un universo complesso e non è mai stato abitato dalla chiarezza.

Gli algoritmi alla base del funzionamento dei motori di ricerca sono segreti, e per di più sono costantemente riveduti e corretti. Lo scenario è così instabile che non è facile elaborare una strategia SEO che produca i risultati sperati.

Possiamo cercare di carpire il funzionamento degli algoritmi sperimentando varie soluzioni sul nostro sito e trovare quella più adatta a noi, ma alla fine qualunque strategia SEO adottata non potrà che collocarsi a metà strada fra scienza e immaginazione.

In uno scenario già di per sé complicato, sono poi molti i contenuti disinformativi pubblicati in rete che contribuiscono alla creazione di falsi miti.

Alcuni miti sul SEO sono presenti fin dai suoi esordi, ma vediamo quelli nati nel corso degli ultimi anni.

7 Nuovi Falsi Miti sul SEO

  1. Il Guest Blog è il male
    La penalizzazione sul SEO per chi fa guest blog è uno dei miti più recenti ed è dovuto essenzialmente all’articolo pubblicato da Matt Cutts, leader del team antispam di Google.
    Google intende arginare la pratica scorretta di chi abusa del guest posting allo scopo di generare link SEO verso il proprio sito, penalizzando e isolando solo chi lo utilizza in questo modo.
    Chi invece lo utilizza per scopi leciti come ottenere reputazione o visibilità e considera il ritorno in termini di SEO come secondario, non ha nulla di cui preoccuparsi.
  2. I Social Media condizionano il SEO
    Il mito che i Social Media condizionino il SEO è vecchio di qualche anno ma è molto lontano dalla realtà.
    Avere una strategia per i social media è importante per molte ragioni, come ottenere visibilità o raggiungere i possibili clienti, ma è errato pensare che i motori di ricerca usino le azioni generate dai social media come strumento di ranking, Google stesso ha sempre negato di farne uso.
    The Totally Mathematical Reason Social Matters to SEO
    Google’s Matt Cutts: Are pages from social sites ranked differently?
  3. I Backlink sono al tramonto
    Sono in molti a credere che quello dei backlink non sia più un sistema di punteggio affidabile e che Google dovrebbe trovare delle alternative.
    Tuttavia quello dei link in ingresso per sito web è, e lo sarà per ancora un bel po’, uno dei metri di valutazione preponderante per il ranking visto che ad oggi ancora non è stato trovato un modo altrettanto valido per sostituire i backlink nel calcolo del rank.
    Lo stesso Matts Cutts ha confermato che in Google hanno testato e poi abbondonato una versione del motore di ricerca che non utilizzava i backlink come fattore di ranking.
  4. Google non funziona
    Un altro mito popolare è che Google abbia un serio problema con il proprio motore di ricerca.
    Niente potrebbe essere più lontano dalla verità. Se solo guardiamo alle quote di mercato che vanno fino a oltre l’80% non sembra affatto che Google sia di fronte a una grave minaccia.
  5. L’AuthorRank è un fattore di ranking
    Con l’introduzione nel 2011 da parte di Google del concetto di AuthorShip, all’interno delle community che si occupano di SEO è nata l’ipotesi dell’esistenza dell’AuthorRank con il quale Google assegnerebbe agli autori più qualificati un punteggio più elevato.
    Ad alimentare maggiormente le voci dell’introduzione nel motore di ricerca di un concetto simile all’AuthorRank ci ha pensato Eric Schmidt, CEO di Google, affermando che tra i risultati di ricerca, le informazioni condivise dai profili verificati tramite l’AuthorShip avranno un punteggio maggiore dei contenuti che non hanno questa verifica.

    Within search results, information tied to verified online profiles will be ranked higher than content without such verification, which will result in most users naturally clicking on the top (verified) results. The true cost of remaining anonymous, then, might be irrelevance.

    Eric Schmidt – The New Digital Age

    A oggi comunque non ci sono prove tangibili che questo meccanismo sia in funzione, anche se Cutts in questo tweet ci dice che un sistema simile all’AuthorRank è presente nella funzione che Google usa per l’In-Depth Article, ma sembra essere utilizzata di rado.
    Aggiungere il markup di AuthorShip ai nostri contenuti è una cosa da fare sicuramente per costruire reputazione e visibilità ma non porta guadagni da un punto di vista SEO se non a lungo termine.

  6. Gli studi correlati ci dicono come funziona Google
    Da quando Moz ha iniziato a pubblicare i propri studi sui fattori di correlazione nei motori di ricerca, si è diffusa la convinzione che questi report spieghino esattamente il funzionamento dei motori di ricerca.
    Gli studi non mostrano se i fattori esaminati siano utilizzati da Google nel proprio algoritmo, ma solo la loro correlazione nei fattori di ranking.
    Ad esempio, la correlazione tra i +1 di Google+ e il ranking indica la correlazione tra azioni social e buoni contenuti, i quali di sicuro hanno anche un alto numero di backlink, ma non significa che Google utilizzi le azioni sui social come fattore per il calcolo del Rank.
  7. Il SEO e i contenuti di qualità
    Uno degli ultimi miti dei nostri tempi vuole che il SEO riguardi solo la creazione di buoni contenuti e che il resto venga di conseguenza.
    Realizzare contenuti di qualità è un fattore importante, ma esiste la possibilità che rimangano invisibili senza una più ampia strategia che comprenda altri aspetti, come ottimizzare il markup html del sito, e una buona strategia di marketing per costruire reputazione e visibilità sfruttando il principale fattore di ranking, i backlink.

Avere un approccio critico nel valutare ogni nuova affermazione che si fa nel campo del SEO è dunque fondamentale, e ci evita soprattutto di apportare modifiche alla nostra strategia finché il mercato non ci dice che sono effettivamente funzionanti.
Come ci spiega Rand Fishkin i grandi marketer devono essere grandi scettici.

Per saperne di più: 7 Modern Age SEO Myths

Perché condividiamo e come scegliamo i contenuti da condividere nell’era dei social network

bluecatL’essere umano è una macchina complessa, ognuno di noi ha una sua unicità, ma tutti noi condividiamo lo stesso desiderio di piacere, essere amati e socialmente accettati.

I social network rappresentano lo strumento perfetto per disegnare un’immagine ideale di noi stessi e mostrare agli altri chi siamo in realtà o quanto meno chi vorremo essere, comunicando agli altri quali sono le nostre aspettative, come viviamo o come vorremmo farlo e quali sono le nostre reali aspirazioni.

Non ha importanza se questa rappresentazione sia reale o meno, già nel 1986 gli psicologi Hazel Markus e Paula Nurius parlavano della disparità tra chi siamo realmente e chi siamo idealmente, dimostrando che abbiamo un doppio concetto di noi stessi, quello attuale e quello possibile.

L’illusione di chi potremmo essere e il tentativo di costruire questa nuova identità sono tra i principali motivi che ci spingono a condividere contenuti tramite i social network.
Siamo maggiormente disposti a condividere informazioni che in qualche modo gratificano il narcisismo del nostro “se ideale”.

Il New York Times dopo un approfondito studio sulla psicologia della condivisione ha tracciato un profilo delle 6 categorie principali di persone che condividono online:

  1. Altruist
    Disponibile e affidabile, condivide tramite Facebook e email.
  2. Careerist
    Professionista, focalizzato sull’avanzamento di carriera, molto probabilmente usa LinkedIn per condividere in rete.
  3. Hipster
    Creativo, giovane, popolare, attento alla sua identità on-line, predilige l’uso di Twitter, Facebook e Skype.
  4. Boomerang
    Condivide spesso e attraverso tutti i social possibili, in cerca dell’approvazione degli altri, pubblica contenuti pensati per suscitare reazioni.
  5. Connector
    Rilassato e pianificatore, usa i social media e in particolare Facebook per organizzare la sua vita offline.
  6. Selective
    Premuroso e attento alle informazioni che condivide predilige inviare una mail piuttosto che usare Facebook.

Sempre dalla ricerca del NYT sono emersi 4 principali incentivi che ci spingono a condividere:

  1. Contenuti di qualità o intrattenimento
    Il 94% delle persone sceglie con cura come quello che condivide può essere utile al destinatario delle informazioni.
  2. Aumento delle relazioni
    Il 78% condivide per rimanere in contatto con le persone con le quali non riuscirebbe altrimenti.
  3. Autorealizzazione
    Il 69% condivide per sentirsi più partecipe.
  4. Identità
    Il 68% condivide per comunicare agli altri chi è e di cosa si interessa.

Un altro fattore preponderante che entra in gioco quando decidiamo di condividere informazioni in rete è l’emozione.

Secondo uno studio dell’American Marketing Association, i contenuti che hanno maggiore possibilità di divenire virali sono quelli che provocano una reazione forte, sia essa positiva o negativa. Upworthy illustra questo concetto in un ottima slideshare sulla creazione di contenuti virali, nella quale è facile evidenziare come l’emozione rivesta un ruolo fondamentale da sfruttare affinché le informazioni abbiano maggiore fascino per la condivisione.

I ricercatori americani della UCLA, in una ricerca volta a individuare il motivo per il quale condividiamo determinate informazioni rispetto ad altre, hanno scoperto e pubblicato in uno studio che nella scelta di un contenuto il nostro cervello valuta l’utilità che questa informazione può avere per gli altri.
Se pensiamo che quel contenuto può interessare, divertire o risultare utile anche agli altri allora saremo molto più propensi a condividerlo.

Molti sono quindi gli elementi che interagiscono sulla nostra scelta di quello che decidiamo di condividere o del perché, e Jonah Berger nel suo ricercatissimo libro Contagious ce li espone sintetizzandoli in 6 caratteristiche che possiedono i contenuti virali:

  1. Social Currency
    Il narcisismo, in che modo migliorerà la nostra immagine?
  2. Trigger
    L’importanza, qual è il pensiero degli altri a riguardo?
  3. Emotion
    L’emozione, perché dovrebbe importaci?
  4. Public
    La conformità, lo fanno anche gli altri?
  5. Pratical Value
    L’utilità, sarà utile per gli altri?
  6. Stories
    La storia, ha una storia interessante?

Per saperne di più:

Google Author Rank: 5 Consigli Per Sfruttarlo Al Meglio

AuthorRank

Quando nel 2011 Google lanciò il proprio sistema di social network molti hanno pensato che non avrebbe potuto competere con Facebook o Twitter.
Google+ invece è in continua ascesa, supera per accessi sia Twitter che LinkedIn e presenta molti aspetti interessanti perché strettamente legato al motore di ricerca.
Una delle caratteristiche più importanti è il sistema di paternità dei contenuti (Authorship) introdotto da Google nel sempre costante tentativo di migliorare la qualità dei risultati di ricerca forniti dal proprio motore e arginare quelli di spam. L’idea che hanno avuto gli ingegneri di Google è stata quella di dare la possibilità agli autori di costruirsi stima e fiducia (Author Rank) in base ai contenuti che pubblicano per poi usare queste informazioni all’interno del motore di ricerca e nel frattempo fornire anche un sistema che salvaguardi la proprietà intellettuale dei contenuti pubblicati dagli autori in giro per il web.

Cos’è l’Author Rank ?

L’Author Rank rappresenta la reputazione dell’utente ed è uno dei parametri che Google usa per valutare la competenza e la credibilità di un autore.
Nel suo recente libro The New Digital Age il presidente esecutivo di Google Eric Schmidt ci spiega come nell’immediato futuro i contenuti pubblicati da chi ha un profilo di Google+ verificato tramite l’Authorship avranno una visibilità maggiore rispetto a quelli che non implementano questo meccanismo. La maggior parte degli utenti tenderanno a visualizzare i contenuti prodotti da un autore verificato tramite il sistema di paternità. È facile intuire come l’Author Rank rivestirà un’importanza sempre maggiore determinando un cambiamento nelle strategie SEO delle aziende nel prossimo futuro.

Within search results, information tied to verified online profiles will be ranked higher than content without such verification, which will result in most users naturally clicking on the top (verified) results. The true cost of remaining anonymous, then, might be irrelevance.

Eric Schmidt – The New Digital Age

I fattori che influenzano l’Author Rank

  1. Qualità del contenuto
    Scrivere articoli di qualità che approfondiscano un argomento è come sempre fondamentale.
  2. Il numero dei plus
    Il numero di +1′ che riceve un contenuto sono un coefficiente importante nel calcolo della qualità e dell’attrattiva del contenuto.
  3. Commenti
    Il numero dei commenti ricevuti sono un indicatore importante di quanto è popolare il contenuto che abbiamo pubblicato.
  4. Author Rank delle cerchie
    Più che il numero di persone conta chi abbiamo nelle cerchie. Persone con un Author Rank alto innalzeranno anche il nostro.
  5. Chi ospita i nostri contenuti
    Se il sito per il quale scriviamo contenuti fa parte di quelli che Google considera fonti autorevoli, aumenterà di conseguenza anche il nostro Author Rank.
  6. Le condivisioni
    Il numero delle condivisioni sui social network e non solo su Google+ ci dà la misura di quanto il nostro contenuto abbia attirato gli utenti. Come per le cerchie è sì importante quante condivisioni ha generato il nostro contenuto ma lo è molto anche chi ha condiviso.
  7. Il Page Rank
    Il Page Rank è tuttora una metrica importante. Se il nostro contenuto ha un Page Rank alto anche il nostro Author Rank salirà.
  8. La quantità
    Scrivere molti articoli di qualità innalza l’Author Rank.
  9. I backlinks
    Google continua ad usare il vecchio metodo per il Page Rank di contare quanti link di altri siti conducono al nostro contenuto, con un occhio particolare all’autorevolezza del sito da cui proviene il link.
  10. Citazioni
    Le citazioni del nome di un autore nei vari siti web contribuiscono ad accrescere l’Author Rank.

Quelli che abbiamo visto sono i 10 elementi base che influiscono nel calcolo dell’Authorship, vediamo ora come possiamo sfruttare al meglio questo meccanismo per innalzare la nostra visibilità personale o quella di un nostro marchio aziendale.

5 consigli per sfruttare al meglio l’Author Rank

  1. Competenza
    Per sfruttare al meglio il meccanismo dell’Author Rank, il metodo migliore è diventare esperti in un determinato settore.
    Se ad esempio Google ritiene che siamo esperti in medicina perché creiamo molti contenuti correlati a questo argomento, quando qualcuno cercherà di medicina Google restituirà il risultato più rilevante in base alla reputazione dello scrittore.
    Chi scrive spesso contenuti di qualità su un argomento specifico dimostra che sa di più su questo argomento rispetto a chi ne scrive di rado o compra 10.000 backlinks nel tentativo di aumentare il suo posizionamento nei motori di ricerca.
  2. Social
    La presenza costante sui social network è importante. Gli autori che sono molto attivi sui social e che ne influenzano il mondo hanno un alto valore di Author Rank. Capita spesso nei risultati di ricerca di Google di trovare contenuti di autori che sono seguiti da oltre 20000 persone, cosa che per Google, insieme al numero delle condivisioni, ha un peso specifico importante.
  3. Costanza
    Aggiornare regolarmente il sito è molto importante. Più contenuti pubblichiamo e maggiori possibilità abbiamo di incrementare le metriche associate al sistema dei rank. Contenuti pubblicati con regolarità fanno in modo che Google ci riconosca come un autore attendibile e consideri i nostri contenuti affidabili.
  4. Qualità
    Quando scriviamo un contenuto la priorità è pensare all’utente e fare in modo che quello che pubblichiamo abbia un valore per chi lo legge.
    I contenuti che generalmente vengono molto apprezzati sono ricchi di notizie, citazioni, e contengono informazioni uniche insieme a pareri di esperti in materia.
  5. Feedback
    Il coinvolgimento degli utenti è un punto strategico, e rispondere ai commenti di altri utenti può essere un ottimo modo per aumentare il coinvolgimento e valorizzare l’intero articolo aumentando il numero di discussioni.

Per saperne di più: 

Content Marketing: 4 previsioni per il 2014

ContentMarketingIl content marketing consiste nella creazione di contenuti di qualità sponsorizzati e destinati ad un pubblico specifico per instaurare un rapporto di fiducia con i clienti e aumentare contatti e relazioni. Non è una strategia nuova ma se riflettiamo sul dato che ormai metà della popolazione globale ha accesso ad internet e quotidianamente consuma contenuti e informazioni, è semplice intuire perché il content marketing svolgerà sempre più un ruolo fondamentale per catturare l’attenzione di possibili consumatori.

Da un recente sondaggio è emerso che nel corso del prossimo anno molte aziende investiranno seriamente nel content marketing dedicando risorse sia in termini di personale che economici.

Conoscere le tendenze in arrivo ci permette di preparaci in tempo per decidere dove e come allocare le nostre risorse.

4 previsioni per il 2014

  1. L’aumento della competizione per guadagnarsi l’attenzione dell’utente
    Pubblicare quotidianamente articoli con contenuti unici e di qualità non sarà più sufficiente, basta considerare che ogni giorno vengono pubblicati 92000 articoli su internet. Forbes ad esempio produce 400 articoli al giorno e oltre 35 milioni al mese vengono pubblicati tramite WordPress. Non potendo contare quindi sui volumi, una piccola azienda deve affidarsi ad una strategia di content marketing per capire qual è il valore unico che l’azienda ha o come può crearlo, ad esempio cercando di posizionare il suo brand tra le massime autorità del campo in un determinato settore.
  2. La scelta della metrica per misurare il successo di un contenuto sarà più importante
    Tradizionalmente la metrica che determina il successo di un contenuto è il traffico generato dal numero di visite.
    Ovviamente generare traffico è importante perché dà maggiore visibilità, ma non può essere la sola chiave di misurazione perché va tenuto conto dell’obiettivo del contenuto che andiamo a pubblicare. Un link in uscita che permette ad un utente di trovare su un altro sito quello che cerca può essere una chiave di misurazione perché instaura un rapporto di fiducia con buone possibilità che l’utente torni a visitare il nostro sito.
    Altre aziende invece usano come chiavi di valutazioni le metriche dei social, cioè il volume delle condivisioni, dei tweet, dei like che il contenuto genera.
  3. Integrazione dei contenuti
    I contenuti prodotti verranno creati per essere distribuiti su più canali, cercando di fornire una visione coerente del brand all’utente indipendentemente dal canale di distribuzione che sia web o personale.
    Un esempio di questa integrazione ce la fornisce la British Airways con il suo famoso cartellone nel centro di Londra per pubblicizzare le nuove rotte della flotta.

  4. Sperimentazione del content marketing sui nuovi media
    La tecnologia è in continua crescita, i personal computer sono ormai una piccola percentuale dei dispositivi connessi e le aziende iniziano a sperimentare e a produrre contenuti per i nuovi supporti.
    Nivea ad esempio ha unito la classica divulgazione cartacea con il mobile, inserendo un caricabatteria solare all’interno della pubblicità stampata.

Quali saranno i contenuti maggiormente pubblicati?

  1. Immagini
    Le immagini continueranno ad avere un ruolo principale nel content marketing, dato l’uso sempre più diffuso di Pinterest, Instagram, SlideShare, e Google+ come servizi di condivisione.
  2. Blog
    Pubblicare contenuti di qualità provenienti dai blog e contribuire ai contenuti di altri siti di valore con link al nostro sito farà aumentare il traffico e il Ranking.
  3. Whitepapers & eBooks
    La produzione di questi contenuti è fondamentale durante le prime fasi del rapporto con i potenziali clienti, dimostra che il nostro marchio è leader in quel campo e introduce i clienti alle nostre metodologie.
  4. Video
    I video saranno sempre al primo posto come strategia di content marketing, sia che produciamo un video, creiamo un’animazione o utilizziamo la grafica in movimento.

Per approfondire: The Future of Content: Upcoming Trends in 2014, Taking Content Marketing To The Next Level: 2014 Predictions

5 motivi per cui le aziende dovrebbero usare Google+

Google+

Dal giorno del suo debutto nel 2011 l’uso di Google+ è in continua crescita, tant’è che con 341 milioni di utenti supera sia Twitter che LinkedIn.

Andiamo a vedere, per chi non l’avesse ancora fatto, perché Google+ andrebbe preso estremamente sul serio e come possiamo sfruttare gli strumenti che ci mette a disposizione.

  1. L’importanza del login attraverso i social
    Le imprese e il marketing necessitano di conoscere l’abitudine degli utenti, il login attraverso i social elimina il problema delle mancate registrazioni e semplifica il flusso di lettura dell’utente permettendo in pochi passi di accedere ai contenuti registrandosi attraverso i loro social preferiti.
  2. La ricerca su google è fortemente influenzata dal social share
    Per l’algoritmo di google la condivisione sociale ha molta importanza, visto che ne determina la qualità e l’affidabilità.
  3. I consumatori tendono a fidarsi dei risultati della ricerca su Google per prodotti e servizi
    I consumatori vedono con fiducia quando i brand offrono loro la registrazione tramite i social e individuano Google come un soggetto di fiducia sulle informazioni e sui prodotti.
  4. Google+ fa parte di una piattaforma di marketing all-in-one
    Volete inviare qualche documento via hangout a vostri clienti ? Basta installare Google Drive ed il gioco è fatto.
    Volete fornire a chi cerca tutte le vostre informazioni e tutti i contenuti social? Google vi permette di fare anche questo.
  5. Google+ ha un design accattivante
    Più grafica e meno chiacchiere.
    Questo è quello che molti dei browser web di oggi sembrano preferire.
    Con una splendida foto di copertina i contenuti saranno immediatamente convincenti e in un formato esteticamente gradevole.

Per approfondire e come usare al meglio Google+ : Why Google+ is an Essential Part of Your Social Strategy