Uno dei più grandi cambiamenti che la diffusione di internet ha apportato alla nostra società è il modo in cui cerchiamo notizie e prodotti.
Abbiamo abbandonato quella dimensione limitata nella quale tutto avveniva intorno a noi, dall’edicola sotto casa dove acquistavamo il giornale locale ai negozianti di fiducia che conoscevano persino i nostri gusti, per passare ad una dimensione globale dove portali come Facebook, Twitter e Google News ci consegnano notizie da ogni angolo del pianeta e Amazon, il negozio dove trovi tutto, fa impallidire anche un grande centro commerciale che al confronto si è ridotto ad una piccola bottega.
Siamo insomma passati da una quantità estremamente limitata di notizie e prodotti ad una tale sovrabbondanza che è diventato un problema riuscire a fare una scelta.
Ecco perché i grandi portali come Facebook e Amazon per fornire le giuste informazioni o prodotti ad un utente che ha accesso a questa enorme quantità di dati devono affidarsi agli algoritmi.
I monopoli digitali
Gli algoritmi, quei semplici pezzi di codice deputati a risolvere un problema, sono destinati ormai ad esercitare sempre più un peso e a plasmare la nostra cultura e la nostra società.
Facebook e Amazon rivestono un ruolo di monopolio digitale su informazioni e acquisti, e l’economia, la cultura e il nostro stile di vita sono quindi profondamente condizionati dal funzionamento dei loro algoritmi che ci suggeriscono cosa è importante sapere o cosa è meglio comprare.
Il problema di abbondanza di dati che devono risolvere i rispettivi algoritmi è però ben diverso: Facebook deve selezionare tra circa 1500 contenuti al giorno, quelli che ci potrebbero maggiormente interessare; Amazon invece deve cercare di fornire un’esperienza di shopping senza fine abbinando al prodotto che stiamo comprando o abbiamo comprato un altro tra i milioni contenuti nel suo deposito.
Lo scopo dell’algoritmo News Feed di Facebook è di fornire il giusto contenuto alle persone giuste al momento giusto. Non ci è dato sapere il suo funzionamento in maniera precisa, ma con un po’ di reverse engineering è facile intuire che il motore di intelligenza artificiale di Facebook si basa principalmente sulle nostre azioni, i ‘mi piace’, le condivisioni o i click sui contenuti.
Tutto quello che facciamo viene registrato ed elaborato per essere poi usato nelle successive visualizzazioni delle notizie. Ai dati generati dal nostro comportamento all’interno della piattaforma l’algoritmo aggiunge i contenuti provenienti dalle inserzioni a pagamento di aziende o privati.
L’algoritmo di raccomandazione di Amazon invece cambia completamente in base al profilo del cliente ed ha un compito più arduo rispetto a quello di Facebook, ovvero riuscire a fornire suggerimenti personalizzati ad ogni potenziale cliente su milioni di prodotti presenti nel proprio magazzino in circa mezzo secondo.
Il motore che si occupa di fornire i suggerimenti per gli acquisti utilizza l’item-to-item collaborative filtering, un algoritmo che invece di sfruttare la similitudine dei clienti e quindi proporci articoli che altri utenti dal profilo simile al nostro hanno acquistato, costruisce l’elenco dei prodotti da suggerire in base a quelli che gli altri clienti tendono ad acquistare insieme a quello da noi scelto.
Questi algoritmi usano formule opposte ma risolvono il problema comune a Facebook e Amazon di operare una selezione tra l’abbondanza di dati.
I loro punti di forza sono chiari ma sono chiari anche i loro punti di debolezza.
Facebook conosce meglio le persone ma non conosce realmente cosa piace ad esse, i like possono dare l’idea di funzionare come le recensioni ma non sono affidabili allo stesso modo.
Come Tony Haile CEO di Chartbeat ci racconta sul Time, click, condivisioni e attenzione non sono esattamente la stessa cosa e molte persone potrebbero non avere neanche letto il contenuto sul quale hanno messo il like.
Amazon d’altro canto conosce meglio e in modo più affidabile i prodotti che piacciono alle persone grazie alle recensioni, ma vorrebbe saperne di più sugli utenti.
I due sistemi dovrebbero essere integrati per aiutarsi reciprocamente a superare i propri limiti.
Il funzionamento degli algoritmi di Facebook può scatenarci una certa inquietudine per l’eccessiva invadenza nella nostra vita privata, mentre nel caso di Amazon può non produrre i risultati sperati visto che molti utenti lamentano suggerimenti troppo robotici.
Nella nostra che è l’era degli algoritmi, non dobbiamo sorprenderci o sentirci violati nella nostra privacy da queste considerazioni, e lo scenario non dovrebbe sembrarci più così inquietante.
Come racconta Bruce Sterling a Giuseppe Granieri si tratta solo di nuove tecnologie: “Probabilmente non useremo più il termine “privacy”. Inventeremo politicamente una parola nuova che sarà coerente con la situazione attuale della tecnologia”.
Per poter funzionare al meglio e soddisfare al meglio le nostre esigenze di utenti, gli algoritmi hanno bisogno di conoscere i nostri gusti, come viviamo, quello che compriamo, e instaurare con noi un rapporto più confidenziale, e tutto dovrebbe accadere in maniera naturale come è sempre accaduto con il nostro negoziante di fiducia che conosce i nostri gusti e il nostro nome.
Per saperne di più: The Algorithm Economy: Inside the Formulas of Facebook and Amazon