Da quando internet ha varcato il confine dei PC insinuandosi in ogni aspetto della nostra vita quotidiana tutto quello che facciamo è sempre più condizionato dagli strumenti della rete.
I meccanismi di interazione sono stati modificati così come è stato influenzato il nostro modo di prendere decisioni e di ricercare informazioni.
La grossa mole di informazioni prodotta dalla costante interazione con la rete è gestita dagli algoritmi. Per comprendere in che modo la nostra cultura ne è plasmata occorre osservare l’algoritmo da un punto di vista meno tecnico e più umanistico.
L’algoritmo
La parola algoritmo nasce in Persia e in un primo momento indica le regole da osservare per eseguire operazioni algebriche con i numeri arabi. Solo in seguito acquisisce il significato attuale designando una serie di istruzioni applicate ad un dato in ingresso e che tramite un numero definito di passaggi produce un dato in uscita. In pratica, uno strumento che ci permette di eseguire calcoli e elaborare dati in maniera automatica.
È Charles Babbage il primo a teorizzare l’uso degli algoritmi per l’automazione, ipotizzando che tutti i processi possano essere suddivisi in semplici operazioni, indipendentemente dal problema oggetto di studio. Anche se Babbage riesce a mettere in pratica le sue idee progettando il motore differenziale e Ada Lovelace crea il primo algoritmo per la sua macchina analitica, è con Alan Turing e la sua macchina nel 1937 che è formalizzato il concetto di algoritmo così come lo conosciamo.
Tuttavia è a cavallo degli anni ‘90 che l’algoritmo inizia ad entrare in maniera pervasiva nella nostra cultura. La nascita del web e la sua diffusione rende possibile l’interazione degli algoritmi, dando vita infine a quello che Pierre Lévy chiama il mezzo algoritmico, lo strumento attraverso il quale l’intelligenza collettiva tramite la rete modifica il nostro contesto culturale.
Il software e la cultura
Gli algoritmi sono ovunque e sono indispensabili, li incontriamo a Wall Street dove vengono utilizzati per prevedere l’andamento del mercato, l’algoritmo di Treding ad esempio gestisce in automatico il 65% delle operazioni.
Ma gli algoritmi che influenzano maggiormente il contesto culturale sono quelli delle piattaforme di social networking o social media in genere.
Tutte le azioni che facciamo attraverso queste piattaforme generano un flusso di informazioni volto a modificare l’enorme mole di dati connessi fra loro, e in maniera più sottile il ricordo collettivo di un’informazione. Questo significa che le nostre azioni alterano il mezzo nel momento stesso in cui lo usiamo (Stigmergia).
Qualsiasi informazione che generiamo sui social media, scrivendo un post, condividendo un link, un like ad una foto o un tweet vengono registrate all’interno di strutture dati, elaborate e usate per informare altri utenti.
Un esempio può essere l’algoritmo di EdgeRank di Facebook che elabora i nostri interessi, i nostri like, le nostre relazioni, gli amici in comune di chi pubblica una notizia, in modo da privilegiare quei contenuti che secondo l’elaborazione dell’algoritmo ci potrebbero interessare.
Gli algoritmi ci aiutano a navigare attraverso l’enorme quantità di informazioni presenti in rete, acquisiscono informazioni generate individualmente e le elaborano perché siano fruite in maniera collettiva.
Ma quando questi algoritmi che elaborano informazioni, ricostruiscono relazioni e connessioni ci suggeriscono le cose che ci piacciono e generano altre relazioni, finiscono per plasmare il nostro contesto culturale e la nostra identità.
L’uso della tecnologia di Intelligenza Artificiale sta inoltre aumentando capacità e ambiti dell’algoritmo. Hummingbird, l’algoritmo semantico di Google che si basa sull’elaborazione del linguaggio naturale, può esserne un esempio, così come l’obiettivo che si è posto Mark Zukenberg di comprendere il mondo analizzando il linguaggio dei post condivisi su Facebook.
Considerando quindi il peso che hanno e continueranno ad avere gli algoritmi nella nostra vita quotidiana, dal momento che non sono utilizzati solo per analizzare dati ma anche per prendere decisioni, ci si può domandare se sia lecito accettare decisioni prese in maniera automatica da algoritmi di cui non è possibile verificare la trasparenza né discutere la neutralità dei processi che vengono applicati ai dati.
Proprio perché influenzano pesantemente il flusso di informazioni, i processi devono essere resi comprensibili al di fuori della sfera strettamente informatica, in modo che tutti possano partecipare alle discussioni su come affrontare i problemi e come risolverli in maniera algoritmica.
Per saperne di più: The Power Of Algorithms: How Software Formats The Culture